ASSOCIAZIONE AMICI DI CESARE BRANDI

 

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2006-10-27

 

La riscoperta. Il carteggio sull’arte tra Brandi e Guttuso

Guttuso e il dialogo con Brandi
 

di Sergio Troisi

in «La Repubblica», ed. Palermo, 27 ottobre 2006, p. 1

 

Le prime lettere sono dell'estate del 1939. A quella data, Renato Guttuso ha 27 anni, Cesare Brandi pochi di più, 33. Il primo è un pittore che ha ormai assunto una funzione di snodo tra gli artisti della sua generazione, operando laddove è più vitale il dibattito culturale, tra Roma e Milano. Il secondo è un funzionario dell'Amministrazione di Antichità e Belle Arti, ha fondato da poco l'Istituto Centrale del Restauro, (che dirigerà per un ventennio con una metodologia nuova che farà scuola in tutto il mondo) e alterna allo studio degli autori del passato l'attenzione curiosa per l'arte contemporanea.

L'amicizia durerà per tutta la vita, sino alla scomparsa del pittore nel gennaio 1987 (Brandi morirà l'anno seguente), ma non sarà un sodalizio né un idillio, e sarà caratterizzata anzi anche da sospetti, divergenze, lunghe pause, ma ugualmente dalla costante ricerca di un dialogo e di un confronto. Al rapporto tra questi due protagonisti della cultura italiana del Novecento è dedicato ora il libro che ne pubblica il carteggio inedito ("Brandi-Guttuso. Storia di un'amicizia" , Electa, a cura di Fabio Carapezza Guttuso, 192 pagine, 25 euro) nella doppia ricorrenza del centenario della nascita di Brandi (che ha tenuto la prima cattedra di Storia dell'Arte dell'Ateneo palermitano) e del prossimo ventennale dalla morte di Guttuso.

Il libro verrà presentato domani alle 16 a Villa Cattolica, con un convegno a cui prendono parte Giuseppe Basile, Paolo Emilio Carapezza, Enrico Crispolti, Luigi Russo e Vittorio Rubiu Brandi.

L'epistolario pubblicato abbraccia un arco di tempo di quarant'anni, sino al 1979; un periodo lungo, che registra eventi pubblici e privati, polemiche, prese dì posizione, sino ai riferimenti a Pasolini, a Foucault, al '68, e durante il quale mutano anche il tono e la scrittura. Nelle prime lettere, in particolare, Guttuso si rivolge all'amico più anziano confessando dubbi ed esitazioni in una temperatura emotiva accesa di slanci e ripiegamenti più intimi dove è possibile rintracciare alcune direttrici costanti del suo atteggiamento rispetto all'idea della pittura. Così, ritornato in Sicilia in seguito alla morte del padre, nel 1940, scrive: «Poi l'odore della Sicilia in un'aria già carica di autunno, il battito di un colore nuovo che mi appariva e risentivo nelle viscere come la voce del sangue»: quasi una dichiarazione di quella memoria violenta e contrastata che riaffiora costantemente, a intervalli regolari, sin nell'ultima fase della sua produzione pittorica. Le lettere di Brandi mantengono, invece, in questi primi anni, modi in apparenza più distaccati dove il segno di una amicizia profonda è affidato semmai ad altri segnali: è Brandi, ad esempio, a inviare nel gennaio sempre del '40 da New York quella cartolina con la riproduzione di Guernica che il pittore terrà con sé per anni, amorosamente conservata nel portafogli come una professione di urgenza morale, prima ancora che politica o artistica. Ed è ancora Brandi, in uno scritto inedito dello stesso anno, qui pubblicato, a formulare sull'artista di Bagheria un giudizio critico che, variamente e diversamente declinato, può essere utilizzato per gran parte della sua opera, quando scrive come Guttuso sia «impegnato col vero in un dissidio di senso e intelletto».

Gli anni del dopoguerra sono quelli della maggiore lontananza: a innescare i sospetti è inizialmente la querelle intorno al gruppo Forma, dal cui professarsi «marxisti e formalisti» Guttuso prende naturalmente le distanze pur senza rinnegare, almeno in un primo momento, i rapporti di amicizia con gli artisti più giovani. Poi sono le scelte compiute in nome del realismo sociale e della politica culturale del Partito comunista ad allontanare i due: Guttuso ricorda come Brandi, in visita allo studio dove stava dipingendo la grande tela con la Battaglia di Ponte Ammiraglio sia uscito senza proferire parola («quando non ero d'accordo preferivo tacere», scriverà anni più tardi), e anche in seguito continuerà a ritenere l'opera come il frutto di un compromesso equivoco. Il riavvicinamento avviene intorno alla metà del decennio, in occasione del Boogie Woogie che Guttuso presenta nel '54 a Venezia e poi a Roma l'anno successivo, e che Brandì non considera ancora un dipinto fuori dalle secche del neorealismo ma di cui invece apprezza i disegni e gli studi preparatori dove ritrova quella capacità di riannodare i fili della tradizione moderna secondo una rinnovata e problematica urgenza espressiva: «Abituati negli ultimi tempi a dipinti suoi più che discutibili - il Boogie Woogie è proprio uno di questi - quasi ci eravamo dimenticati di quale ardore figurativo sia capace con la penna e la matita».

A quel punto, il dialogo era riavviato, anche sul piano personale: nel Natale del '56, è proprio a Brandi che Guttuso confessa l'angoscia, altrimenti taciuta, per la stroncata rivolta ungherese («vorrei, e non mi par vero, che questo '56 finisca per sempre e si porti via, per sempre, le lacrime e il sangue»), e questo riavvicinamento favorisce anche la ripresa del dialogo intellettuale. In questo, Brandi era un interlocutore ideale: teorico raffinatissimo in una serie di saggi editi trai '50 e i 70, critico attento a non identificare modernità e avanguardia, Brandi offriva a Guttuso una sponda importante per delucidare il proprio rapporto controverso con la ricerca contemporanea: dalla critica all'astrattismo informale, tacciato di decorativismo - una posizione, in quegli anni, tutt'altro che isolata - all'interesse per un artista come De Stael. Brandi, dal canto suo, offre il proprio viatico critico per l'attenzione verso un pittore in apparenza inattuale e così distante da Guttuso quale Giorgio Morandi, costantemente e amorosamente seguito dallo studioso senese sin dalla monografia pubblicata nel 1942.

È tale prospettiva problematica che sigilla negli anni Settanta il ricomporsi delle posizioni: non tanto con la Vucciria, verso cui Brandi mantiene delle riserve in seguito smussate, quanto con le grandi composizioni allegoriche che scandiscono l'ultima fase della produzione di Guttuso (Spes con tra Spem, La visita della sera, il ciclo dell'omaggio a Picasso), dove la rivisitazione iconografica e l'intrecciarsi di simboli e figure investe la storia della pittura (e la storia tout court) di una inesausta dichiarazione di passione e disincanto: ancora quella dialettica di senso e intelletto individuata come procedimento e pietra d'angolo nello scritto del 1940.

 

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Pagina creata il 13-05-2007 | Aggiornata il 13-05-2007