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Rassegna stampa
2007-09-00
Centri d’eccellenza
[Recensione a Caterina Bon Valsassina, Restauro made in Italy,
collana “Electa per le Belle Arti”, Electa, Milano 2006]
di Claudio Gamba
in «L’Indice dei libri del mese», a. XXIV, n. 9, settembre 2007, p. 28.
Nonostante il titolo ammiccante, che sembra piuttosto riferirsi a un
manuale sulle pratiche di restauro o al relativo “modello italiano”, il
volume affronta con cura un tema più circoscritto: la storia dell’Istituto
Centrale del Restauro, ormai vicino a compiere i settant’anni. Era infatti
il luglio 1938 quando Giulio Carlo Argan lanciò il progetto di un
Gabinetto Centrale del Restauro, che fu affidato poco dopo a Cesare
Brandi; la ventennale direzione brandiana, portata avanti con tenacia
proprio a ridosso delle distruzioni belliche, è stata già oggetto di
numerosi approfondimenti, mentre era rimasta finora quasi del tutto
dimenticata l’opera del suo successore Pasquale Rotondi, che resse
l’Istituto dal 1961 al 1973. Una sorte più contrastata l’ha avuta Giovanni
Urbani, terzo direttore, rimasto fino alle dimissioni nel 1983: i suoi
progetti, basati sul decentramento e sulla conservazione programmata, gli
provocarono isolamento e amarezze, ma sono oggi considerati la punta più
avanzata della tutela del patrimonio culturale e del territorio.
Caterina Bon Valsassina, che dell’Istituto è l’attuale direttrice, ha
condotto una meritoria ricostruzione che si attiene alla documentazione di
archivio, colmando numerose lacune, indugiando sulle trasformazioni di
ordinamento e di organico, senza lasciarsi distrarre dai molti “miti” che
circondano l’Istituto. Per non cadere nel riepilogo del già noto ha
evitato di soffermarsi sui contenuti della teoria brandiana del restauro o
sulle sempre più complesse e articolate tecniche di conservazione del
patrimonio; il libro risulta così molto asciutto, perfino scarno nei
contenuti teorici, e va quindi letto tenendo d’occhio la vastissima
bibliografia che si è sedimentata intorno a questi argomenti. Giustamente
viene ribadito che l’ICR costituisce uno dei massimi “centri di
eccellenza” italiani, un luogo di elaborazione di competenze, metodi e
strumenti che esportiamo in tutto il mondo, e in questo senso può essere
considerato come un vero e proprio marchio di made in Italy.
Il volume si chiude con un rapido excursus sulla storia dell’Istituto
negli anni Ottanta e Novanta per arrivare infine a qualche proposta sul
suo futuro: se la necessità di riunificare le due sedi romane tra loro
lontane mette tutti d’accordo, non può dirsi altrettanto della seconda
proposta, che ha suscitato e continuerà a suscitare numerose polemiche,
cioè il progetto di accorpare in un nuovo Istituto Superiore per il
Restauro i vari istituti di conservazione che afferiscono al Ministero per
i Beni e le Attività Culturali (oltre l’ICR di Roma, l’Opificio delle
Pietro Dure di Firenze, l’Istituto Centrale per la Patologia del libro, il
Centro per la fotoriproduzione, legatoria e restauro). La proposta deve
essere vagliata con attenzione e senza pregiudizi, tuttavia ci sembra che
in questo momento, di fronte ai veri problemi del Ministero (lo svilimento
delle soprintendenze, l’età avanzata del personale tecnico-scientifico, la
progressiva burocratizzazione e dequalificazione degli organici, ecc.),
l’accorpamento degli istituti centrali possa portare a un loro
indebolimento piuttosto che a un vero potenziamento delle finalità
operative, di indirizzo, di ricerca e di formazione che erano e devono
rimanere tra i loro elementi caratterizzanti.