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Rassegna stampa
2006-04-08
Brandi, cento anni di Sicilia
di Ernesto Di Lorenzo
in «La Repubblica», (ed. di Palermo), 08
aprile 2006
II paladino dei beni culturali, lo storico dell'arte, il teorico di
estetica, il docente brillante, il polemista irriducibile: nel centenario
della nascita (Siena, 8 aprile 1906) Cesare Brandi viene celebrato con
convegni, seminari, mostre in diverse città d'Italia e d'Europa. I suoi
saggi. "Teoria del restauro", "Teoria generale della critica", "Segno e
immagine", sono testi fondamentali. Esploratore entusiasta di luoghi
mitici alla ricerca del Bello — dalle sponde del Nilo alla Grecia antica,
dalla Persia mirabile all'India misteriosa — Brandi ebbe proprio con la
Sicilia un rapporto privilegiato. Un viaggio nell'Isola è il compimento di
un voto, diceva. E vi tornò più volte nell'arco di mezzo secolo (fu anche
ordinario di Storia dell'arte medievale e moderna all'Università di
Palermo), registrando le sue considerazioni estetiche in diverse note di
viaggio, raccolte poi da Sellerio nel volume "Sicilia mia"(1989, con
prefazione di Marcello Carapezza).
I suoi "pellegrinaggi" in Sicilia hanno toccato nel tempo le città e le
isole minori, la semplicità agreste e gli splendori del barocco, i misteri
dell'archeologia e i capolavori normanni. «Ma può esserci al mondo un
paese più bello della Sicilia?», si chiede Brandi in un reportage del '78.
«Andate a Palermo per mare, e vi accorgerete se arrivate in un paese
qualsiasi... Le montagne che fanno corona alla città appaiono splendide,
come d'agata, e Monte Pellegrino come un meraviglioso spalto naturale...
Certo, dovrete digerire anche diversi chilometri di cattiva architettura e
chiedervi se è qui la città degli emiri, delle delizie di Federico II, la
Palermo orientale che meravigliava gli scrittori arabi. Ma poi la
troverete, con i suoi mosaici che neanche a Venezia hanno maggior fulgore
e con l'architettura araba che splende nella Zisa come neanche a Marrakesh».
Alla Cappella Palatina Brandi dedica un capitolo a parte per descriverne
minuziosamente i mosaici, l'alta zoccolatura e soprattutto il soffitto in
legno di cipresso scolpito e dipinto, sfolgorante e incomparabile. Dalla
magnificenza della Palatina a quella del barocco di Noto, "un giardino di
pietra" dall'ariosa urbanistica con scalinate, chiese, palazzi, i selciati
bellissimi, prospettive di teatro. E poi la Catania settecentesca con
l'elegante via dei Crociferi, e Siracusa con la deliziosa Ortigia «fiorita
di bifore sottili come steli di giglio».
Ogni soggiorno in Sicilia per Brandi si traduce in un viaggio a ritroso
nei secoli fino ai Greci e ai Fenici. Ci sono alcuni capolavori che
lasciano il segno nella sua sensibilità come il Giovinetto di Mothia e
l'Efebo di Selinunte. Brandi ne studia lo stile, ne analizza i minimi
dettagli. La tunica del Giovinetto, «leggerissima, fittamente piegolinata
e trasparente», sembra anticipare di millenni il barocco. Di fronte
all'Efebo, «per la luminosità che l'avvolge, per la trepida sinuosità
delle membra acerbe che danno la Grecia nel suo momento più fascinoso», il
critico non esita ad esprimere la sua commozione, la gioia per un momento
della vita sottratto alla banalità quotidiana, all'usura della civiltà dei
consumi. La ricerca della grazia e della purezza formale per Brandi trova
un altro esemplare riscontro nell'opera di Giacomo Serpotta, «il più
grande scultore del Settecento, aereo, sorridente e leggiadro: in nessun
altro luogo il bianco puro di questi stucchi vi potrà solleticare lo
sguardo come a Palermo».
Ma l'esteta raffinato pronto ad esaltarsi nella visione della bellezza è
altrettanto pronto ad indignarsi di fronte al degrado: Agrigento deturpata
dall'edilizia sconcia, un traliccio di cemento armato accanto al castello
normanno di Adrano, l'offesa del grattacielo che guasta l'unità stilistica
quasi poetica di Noto, lo scempio ormai compiuto a Pantelleria con
l'aggregato urbano o quello ancora da compiere con un villaggio turistico.
Nei suoi appunti Brandi non risparmia suggerimenti sulla conservazione dei
mosaici della villa del Casale di Piazza Armerina, sulla fruizione dei
graffiti della grotta del Genovese di Levanzo, sul restauro del Palazzo
Abatellis di Palermo, la cui visita gli dà anche lo spunto per una dotta
esegesi della splendida "Annunziata" di Antonello da Messina «pittore
supremo la cui influenza s'irraggia come la rosa dei venti e diviene
normativa di un certo modo di concepire l'immagine». Un ideale itinerario
artistico tra i grandi pittori siciliani porta infine Brandi a parlare di
Renato Guttuso, e in particolare della grande tela "Eruzione dell'Etna",
«una pittura che sa essere rude e quasi rozza, dove il pennello segue
vortici e risucchi: la gratuità atroce dell'evento è solo bilanciata dalla
sua amara bellezza». Questa Sicilia di Guttuso è il paradigma di una terra
forte e tragica, bella e dolente. E anche l'affresco che affiora dalle
note di viaggio di Brandi è quello di una regione aspra e generosa, in
equilibrio tra miseria e nobiltà. «È un paese che puoi anche odiare,
ricordare con orrore come quando fui percosso e atterrato per poche
miserabili lire, e tuttavia continuo a desiderarlo, ridestandolo nel buio
della memoria, ed è come se mi si accendesse una lampada ad arco».