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Rassegna stampa
2006-04-30
Il filosofo del buon restauro
A un secolo dalla nascita, l'eredità intellettuale dello storico
dell’arte senese che ha fondato e diretto l'Istituto Centrale di Roma.
La sua Teoria della tutela ispira ancora oggi i principali laboratori
di conservazione del mondo, facendo dell'Italia la nazione leader del
settore
di Antonio Paolucci
in «Il Sole 24 Ore», 30 aprile 2006
C'è un libro italiano del Novecento che è stato tradotto nelle principali
lingue del mondo. Non solo in inglese, in francese, in spagnolo, ma anche
in cinese, in giapponese, in polacco, in portoghese, in greco, in rumeno.
Si tratta della Teoria del restauro di Cesare Brandi uscito nel
1963. Se oggi l'italiano è lingua franca nei principali laboratori di
conservazione, dal Getty di Los Angeles a Xian in Cina, se quel libro
resta il manuale base nelle università e nelle scuole di restauro da Tokio
a Varsavia, il merito è di Cesare Brandi, il grande storico dell'arte che
è stato direttore dell'lcr di Roma per vent'anni; fin dal momento della
sua fondazione, voluta dal ministro Bottai e da Argan nel 1941, in piena
guerra.
E' stato scritto di recente (Domenico De Masi) che l'lcr — con il suo
clone toscano, l'Opificio delle Pietre Dure, nato nel 1975 — si colloca
fra i 13 gruppi creativi di eccellenza cresciuti in Europa fra XIX e XX
secolo. Insieme all'istituto Pasteur, al Bauhaus, al Gruppo di Via
Panisperna. In effetti se l'Italia conserva un primato che ancora ci è
riconosciuto nel mondo questo riguarda il restauro o la scienza della
conservazione, come oggi si preferisce dire. Non è certo un caso se i
cinesi hanno scelto i nostri operatori per progettare e in parte
realizzare interventi di grande delicatezza e complessità sui loro
monumenti identitari: i palazzi della Città Proibita e la Grande Muraglia.
Uno squisito "idealismo pragmatico" — se mi è consentito l'ossimoro — ha
ispirato la teoria di Brandi e le sue applicazioni nella cultura operativa
italiana. Da una parte la percezione del restauro come "atto critico",
dall'altra la flessibile "opportunistica" e coltissima attenzione alla
vita e alla storia dell'opera d'arte nella sua realtà materica, nella sua
vicenda temporale, nelle sue relazioni con il contesto.
Cesare Brandi è nato a Siena nell'aprile del 1906 e a Siena abitava (lui
cittadino del mondo sempre in viaggio dalla Puglia all'Anatolia, dalla
Sicilia alla Persia) in una villa fuori porta gremita di libri e di quadri
dalla quale si vede la città amata, nitida e luminosa come in una predella
di Giovanni di Paolo. E' sembrato giusto quindi ai suoi amici, ai suoi
allievi, ai suoi tanti estimatori celebrare la ricorrenza del centenario
con una serie di iniziative (convegni, mostre) dislocate durante l'anno in
corso, in Italia e all'estero.
A Berlino, a Roma, a Ferrara, a San Paolo del Brasile, a Buenos Aires, a
Parigi, a Valencia, a Budapest, si parlerà, in convegni specialistici e in
occasione di nuove edizioni in lingua della Teoria, dell'attualità
di Brandi nel campo del restauro. I pittori del Novecento a lui cari (Morandi,
Manzù, Afro, Burri, Guttuso eccetera) avranno mostre a Roma nella Galleria
d'Arte Moderna ma anche a Palazzo Albizzini di Città di Castello (Burri).
Alla Fondazione Mandralisca di Cefalù, di fronte al sorriso dell'Ignoto
marinaio, si parlerà di Brandi e Antonello, di Brandi e Guttuso a
Bagheria, di Brandi e Morandi alla Galleria Comunale d'Arte Moderna di
Bologna. A Siena verranno esposte a Santa Maria della Scala le opere della
Donazione Brandi alla città natale e della Donazione Brandi-Rubiu alla
Galleria Nazionale d'Arte Moderna.
Il folto programma coordinato da Pippo Basile, e presieduto da chi scrive,
si propone l'obiettivo non facile di lumeggiare la personalità di un uomo
che è stato storico dell'arte (i suoi studi su Giotto, su Duccio, sui
riminesi, sulla pittura senese del Quattrocento, sui moderni) e teorico
sia del restauro che dell'estetica. Gianfranco Contini ebbe a scrivere, a
questo proposito, che il Carmine o della pittura è il libro più
importante, dopo l'opera Croce, scritto in Italia nel Novecento.
Per chi fa il mio mestiere il libro indimenticabile di Brandi resta,
accanto alla Teoria, il Patrimonio insidiato, la raccolta
dei suoi articoli usciti fra i Settanta e gli Ottanta dello scorso secolo.
Brandi viaggiatore, in Sicilia e in Puglia in Persia e in Cina, è
squisito. Il suo approccio alle cose (opere d'arte, paesaggi, città) è
esatto e al tempo stesso leggero, prensile, evocativo. Ma di fronte agli
orrori che nei decenni scorsi irrimediabilmente devastavano il Bel Paese
(soprattutto l'amatissimo Sud) la sensibilità dell'esteta e la
consapevolezza dello storico si mescolavano all'indignazione civile. Ne
venivano fuori articoli di denuncia vividi, sferzanti, dolenti. Purtroppo
inutili come sa bene chiunque riveda oggi i luoghi e i paesaggi che Cesare
Brandi amava.