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Rassegna stampa
2006-06-13
Nel centenario della nascita, torna in libreria il viaggio dello
storico dell'arte.
L'Italia di Cesare Brandi tradita dagli ecomostri
di Giorgio Montefoschi
in «Corriere della Sera», 13 giugno
2006, p. 37
Per lui il paesaggio era fonte di conoscenza. Ora è preda dei turisti
Viaggiare in Italia è un'arte già per suo conto. Occorre saper scegliere
le stagioni; individuare i mezzi di trasporto più appropriati; possedere
le informazioni indiscutibili sugli alberghi e i ristoranti, le trattorie
e le locande; saper bilanciare in giusta misura sapienza e istinto.
Dopo, raccontare in maniera appassionata e convincente i propri viaggi è
più difficile ancora. Quali sono, per esempio, e per non andare troppo in
là nel tempo, i grandi viaggiatori italiani del Novecento capaci di
restituire il silenzio d'una piazza o d'un convento, gli odori di un
mercato o di un porto, l'oscurità d'una chiesa, la conversazione in uno
scompartimento di treno e la chiacchiera di un salotto, quello che si vede
e quello che non si vede, il piacere di una pietanza e di un bicchiere di
vino? Non tanti. Vogliamo fare i nomi? Il Comisso di Al vento
dell'Adriatico e del Grande ozio, innamorato inesausto, com'era
lui, della natura e del corpo. Mario Soldati, capace di trasformare in
libri di viaggio persino i suoi romanzi. Guido Ceronetti, col suo
Viaggio in Italia, sempre fra un pullman e una sala d'aspetto, alle
soglie d'uno ospizio per vecchi, al desco con miele e fichi, noci e uva.
Alberto Arbasino, perché ha scritto e riscritto Fratelli d'Italia.
Infine. Cesare Brandi, nato a Siena nel 1906, cento anni fa, ora celebrato
da due convegni e del quale Bompiani ha appena ripubblicato un libro
bellissimo: Terre d'Italia, a cura di Vittorio Rubiu, con
prefazione di Vittorio Sgarbi e uno scritto di Giulio Carlo Argan (pagine
637, euro 12). «Niente più del viaggio — scrive Sgarbi — potrebbe
esemplificare il modo in cui l'esperienza di vita diventa in Brandi il
viatico a una conoscenza dell'arte e delle civiltà che non vuol essere il
frutto di una fredda sapienza costruita a tavolino, ma un processo di
acquisizione e di arricchimento interiore che non può fare a meno del
sentimento». E Argan: «Giungendo in un paese era immediatamente catturato
dall'ambiente, dal colore delle case, dalla luce, dal muoversi delle
nuvole, dall'andirivieni della gente e poi naturalmente dalle opere
d'arte».
Rifacciamolo, allora, insieme a Cesare Brandi — che, lo ricordiamo, oltre
a essere raffinato storico dell'arte, fu direttore dell'Istituto italiano
del restauro — questo itinerario italiano, lasciandoci guidare dalla sua
capacità di cogliere l'essenza di un luogo qualunque. Per esempio:
Bergamo. Bergamo Alta è una città sospesa che non sta né in cielo né in
terra, con i suoi palazzi e le sue chiese: «Stare a Bergamo Alta è come
trovarsi in quelle città miniaturizzate che tengono in mano i santi
protettori, come un vassoio, e di qua e di là c'è il vuoto». Friuli. In
Friuli, la terra è malinconica, portata com'è alla pianura dai monti di
cui conserva, fino al mare, la memoria. È una malinconia, questa, che si
fa intendere soltanto da chi l'ha sperimentata e la conserva nel profondo
del cuore; nascosta nei suoi frutti, nel sapore del suo vino bianco: «Dove
c'è come una venatura di freddo, che sempre rimane, né si amalgama».
Venezia. Perché, a Venezia, con tanti splendori che la sopravanzano,
rimaniamo ogni volta stupiti e commossi dinnanzi alla chiesa della Salute,
tanto da farcela sembrare, insieme, «propileo» alla laguna e «ònfalos»:
ombelico simile a quello di Delfi? Forse a causa di quelle bellissime
volute attorno al tamburo della cupola dal suo architetto, il Longhena? E
perché questo movimento della pietra «così radiale, come la rosa dei
venti, suggerisce un movimento rotatorio come la lanterna di un faro,
donde quei raggi coprono, come l'ombrello del Santissimo Sacramento, tutta
la città?».
Scendiamo in Toscana. Quella è una campagna che a una prima impressione
inganna, con i suoi cipressi, gli ulivi, «ordinata e pulita come una casa
povera dove tutto è al suo posto». Invece, non è così; perlomeno, non
soltanto così. La campagna toscana è simile a una bestia che riposa: «Come
una vacca che, distesa, digruma e si vede quella pelle spessa che segue il
corpo e là ricasca, qui fa una piega o un montarozzo, ma senza stacco:
continua al di sotto, perché è un corpo con i suoi muscoli e l'adipe,
mentre le sue ossa sono come un fossile dentro la terra... Il senso d'una
bestia docile, casalinga, che ti dorme al piede, un che di lento, di
misura che non è mai colma e di un silenzio che si deposita fra i colli,
riempie gli spazi, acquieta».
Diversa è la campagna del Lazio — una regione che tanti non conoscono —
perché in molti suoi scorci, nelle valli scavate nel tufo (dominate dalle
torri romane, diroccate, che Arbasino pone a sentinelle di un passato
sepolto e intramontabile in Fratelli d'Italia), nei boschi che
conobbero Claude e Poussin, ancora si respirano mitologia e mistero: con
quella sua «andatura piana di campagna per greggi e cavalli», con «quegli
alberi densi e ombrosi, ma d'un'ombra calda e silente», con «quelle erbe a
ciuffi mai troppo verdi, perché tutti i colori sono sottomessi a un sole
che brucia, a una notte che li succhia in silenzio...».
E che dire delle ville di Frascati sbarrate sempre; della pietra color
miele dell'abbazia cistercense di Fossanova in cui morì San Tommaso; della
solitudine dell'antica via Fiacca che conduce a Sperlonga; dei fiori
sparsi fra le rovine romaniche di Ninfa; dei ciuffi di mimose che, sulla
via Appia, conservano la memoria del sole pur nel freddo dell'inverno?
L'abbazia di Fossanova si vede dal treno che va verso Napoli; come anche
il golfo mozzafiato di Gaeta, si vede da quel treno, col suo forte
borbonico e il porto. Poi, il treno prosegue per Napoli e per la Calabria,
la Puglia, la Sicilia. E noi vorremmo seguire questo treno e il viaggio di
Brandi, ma qualcosa ce lo impedisce. Il sotterraneo rimpianto che fin qui
ha accompagnato il suo e il nostro itinerario diventa infatti, per
accumulazione, opprimente. Perché Napoli e la sua costa e la costa
laziale, già ai tempi di Brandi, erano devastate dalla speculazione
edilizia e ora lo sono irrimediabilmente. Perché la costa della Calabria è
irrimediabilmente massacrata non dai grandi alberghi (come in Grecia e in
Spagna) che almeno portano voli charter e quattrini, bensì dalle seconde
case abusive, come del resto fra Messina e Palermo. Perché la Conca degli
Aranci è distrutta. Perché abbiamo dovuto aspettare vent'anni affinchè a
Bari fosse abbattuto l'ecomostro che ci impediva di guardare l'Oriente. E
perché, tornando indietro, a Roma piazza Navona è un bazar. Firenze è
diventata una rivendita di bibite e panini. E in Friuli e in Veneto le
villette a schiera con i sette nani e i capannoni industriali hanno
sottratto ogni dolcezza (insieme a tanti valori) al piano e alle Prealpi.
Perché il viaggio di Brandi è ormai un sogno, una chimera. E fra i tanti
ministeri, una buona volta, bisognerebbe istituire quello della
Distruzione Implacabile della Bruttezza e dell'Abuso. Altro che Istituto
del restauro. Ma davvero!