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Rassegna stampa
2006-09-27
CESARE BRANDI, ‘IL CRITICO FILOSOFO’
La monografia di D’Angelo su Cesare Brandi
Un “critico-filosofo”
di Elio Matassi
in «Avanti!», 27 settembre 2006
http://www.avanti.it/article.php?art_id=15202
Cesare Brandi (1906 - 1988) può essere considerato a pieno titolo uno dei
più grandi teorici e storici dell’arte del Novecento, anche se i suoi
meriti non sono ancora stati riconosciuti pienamente. Disconoscimento
dovuto in larga misura dalla duplice diffidenza esercitata contro l’opera
e la personalità intellettuale di Brandi dagli studiosi d’arte che lo
hanno sempre considerato troppo spostato sul versante filosofico ma anche
dalla stessa corporazione dei filosofi che hanno ritenuto, a torto, le sue
riflessioni teoriche troppo influenzate dalla sua attività di critico.
Nell’anno del primo centenario della nascita la lucida monografia di Paolo
D’Angelo, il nostro estetico più completo e più colto, “Cesare Brandi.
Critica d’arte e filosofia”, Macerata, Quodlibet, 2006, 149 pp., rovescia
correttamente questo doppio fraintendimento, restituendo a Brandi quanto
dovutogli sia sul piano strettamente teorico che su quello critico. Paolo
D’Angelo, il miglior allievo di uno degli estetologi più importanti del
Novecento, Emilio Garroni, sottolinea più volte come sia da ascriversi a
merito di Cesare Brandi l’aver riconosciuto già in Kant il peso
imprescindibile del linguaggio. Tale riconoscimento dopo i grandi lavori
di Hogrebe ed, appunto, di Emilio Garroni oggi è da considerarsi
un’ovvietà. Ma non è sempre stato così e la primogenitura della
dissoluzione di questa pregiudiziale, - il presunto silenzio di Kant
intorno al linguaggio - è da attribuirsi proprio a Cesare Brandi. Nei
quattro grandi dialoghi, “Arcadio o della scultura”, “Eliante o
dell’architettura”, “Carmine o della pittura”, “Celso o della poesia”, e
nelle altre opere, “Le due vie”, “Segno e immagine”, “Teoria generale
della critica”, “Teoria del restauro”, Cesare Brandi ha incarnato
perfettamente il modello, come argomenta sottilmente D’Angelo, del
critico-filosofo, “del critico che fonda il proprio giudizio e l’intero
proprio edificio interpretativo su di una teoria coerente dell’arte – su
di un’estetica” (pp. 13-14). Due sono le conseguenze essenziali che si
possono desumere da questo modello, l’essere, al contempo, un critico ed
un filosofo. La prima sta nel fatto che proprio la riflessione teorica ha
consentito a Brandi di trascendere le premesse purovisibilistiche da cui
aveva preso le mosse (Fiedler), la seconda nel fatto che una presenza così
marcata dell’estetica rende la figura di Brandi del tutto irrudicibile a
quella di un qualsiasi conoscitore, ossia ad un paradigma di studioso
d’arte con solide tradizioni, in modo particolare in Italia. Il reciso
distacco di Brandi dal tipo del semplice “connaisseur” si esprime, per
esempio, nella “sistematica estensione dell’esercizio critico non solo
alla pittura ed alla scultura, ma anche all’architettura” (p. 24).
“Estensione” che portava Brandi verso “una critica come storia figurativa
dell’immagine, rinunziando ad ogni sollecitazione od appiglio che potesse
pervenirgli dalle intenzionalità programmatiche proiettate in
architettura” (p. 25). Critica che manifesta tutta la fecondità del suo
approccio se comparata, ad esempio, a quella di Benedetto Croce, alla sua
lapidarietà tribunalizia, “c’è un’opera d’arte a” oppure “non c’è un’opera
d’arte a”; quella di Brandi si presenta, infatti, come una critica
“interna”, “ma non perché superstiziosamente chiusa a ciò che è fuori del
testo” (p. 25). Un metodo che porterà Brandi ai grandi risultati
consegnati a due tra le sue opere più riuscite, “La prima architettura
barocca”, e “Struttura e Architettura”. Un altro aspetto degno della
massima attenzione e giustamente ricordato da Paolo D’Angelo sta nell’
“allargamento del concetto di critica dal puro giudizio valutativo
all’insieme dei procedimenti di conservazione e restauro dell’opera” (p.
25). Entro quest’ottica peculiare, la “Teoria del restauro” brandiana si
dimostra, proprio per le sue implicazioni teoriche, uno dei libri più
influenti. Infine, un terzo punto di considerazione, sta nell’attenzione
concentrata da Brandi sull’arte contemporanea, dal primo studio su Morandi,
a quello su Picasso che accompagnava la prima edizione del “Carmine”, fino
a moltissimi saggi della maturità. L’interesse per l’arte contemporanea
circoscrive compiutamente in Brandi il distacco dal paradigma tipologico
dello storico dell’arte “fine filologo”, rafforzando la sua lontananza dal
tipo del “conoscitore”, sempre diffidente verso il contemporaneo. Proprio
la figura del “critico-filosofo” per eccellenza, così inattuale ai nostri
giorni, caratterizzati dall’alternativa - chiusura autoreferenziale nel
filologico - o deriva verso il sociologico o la semplice e stemperata
storia delle idee, fa di Brandi una figura di rilievo nel Novecento così
diversa anche dagli altri critici figurativi che si confrontarono con il
crocianesimo come Carlo Ludovico Ragghianti e Longhi. Paolo D’Angelo
inquadra correttamente Brandi nell’estetica di orientamento fenomenologico
che in Italia aveva goduto di grande prestigio per merito
dell’insegnamento di Antonio Banfi e della sua scuola (Dino Formaggio,
Luciano Anceschi, Enzo Paci, Remo Cantoni). Tra questi ultimi Cesare
Brandi rappresenta certamente un caso notevole e singolare, sia perché in
lui non abbiamo a che fare con un filosofo professionale, sia perché le
sue aperture all’impostazione fenomenologica del problema estetico sono,
per la scena italiana, relativamente precoci, essendo già ben
individuabili nella prima (e destinata a rimanere fondamentale) opera
dedicata da Brandi all’estetica, il dialogo “Carmine o della pittura”, la
cui prima edizione risale al 1945. Già nel 1953 uno studioso francese,
Paul Philippot, nel presentare al pubblico d’oltralpe la prima
elaborazione teorica di Brandi, parlava di una “fenomenologia della
creazione artistica” e di un pensiero che si ispira al metodo husserliano,
tutti aspetti che restituiscono il profilo non solo “nazionale” ma
“internazionale” della ricerca critico-filosofica di Cesare Brandi.